Ci occupiamo di assistere i nostri clienti in tutte le controversie che possono nascere in materia di lavoro: risarcimento danni da malattie professionali ed infortuni sul lavoro, procedimenti disciplinari, licenziamenti e impugnativa del licenziamento, mobbing, rivendicazione di differenze retributive, mutamento mansioni, riconoscimento mansioni superiori, riconoscimento del rapporto di lavoro a tempo indeterminato, accertamento competenze retributive, redazione di contratti di lavoro.

Licenziamento

Principio fondamentale in tema di licenziamento è che lo stesso può essere esercitato solo rispettando tassativi limiti e modalità.

Le motivazioni che adducono al licenziamento del lavoratore dipendente possono riguardare la condotta del lavoratore (licenziamento disciplinare, per giusta causa o per giustificato motivo soggettivo) ovvero la situazione in cui si trova l’azienda (licenziamento per giustificato motivo oggettivo).

Il licenziamento per colpa del lavoratore (licenziamento disciplinare)

Questo tipo di licenziamento sussiste quando il lavoratore si è reso colpevole di taluni comportamenti comportamenti colposi o dolosi , così gravi da non non consentire la prosecuzione del rapporto di lavoro, proprio perché han fatto venire meno il necessario vincolo fiduciario.

A seconda della gravità della condotta posta in essere dal lavoratore si distinguere tra licenziamenti per “giusta causa” e per “giustificato motivo”.

Giusta causa

Con “Giusta causa” si intende un comportamento così grave da non consentire la prosecuzione del rapporto nemmeno in via provvisoria. In questi casi, infatti, il licenziamento può anche essere immediato, senza addirittura alcun preavviso.

Costituiscono giusta causa di licenziamento:

– rifiuto ingiustificato e reiterato di eseguire la prestazione lavorativa/insubordinazione contrattuale;

– rifiuto a riprendere il lavoro dopo visita medica che ha constatato l’insussistenza di una malattia;

– lavoro prestato a favore di terzi durante il periodo di malattia, se tale attività pregiudica la pronta guarigione e il ritorno al lavoro;

– sottrazione di beni aziendali nell’esercizio delle proprie mansioni (specie se fiduciarie);

– condotta extra lavorativa penalmente rilevante ed idonea a far venir meno il vincolo fiduciario.

Il giustificato motivo soggettivo

Con “Giusto motivo soggettivo” si intende un comportamento non così grave come nel caso immediatamente precedente; esso comporta si il licenziamento ma obbliga il datore di lavoro a concedere il preavviso.

Le ipotesi di giustificato motivo soggettivo possono essere:

– l’abbandono ingiustificato del posto di lavoro;

– minacce, percosse, ingiurie e/o grave diffamazione nei confronti del datore di lavoro o di superiori gerarchici;

– reiterate violazioni del codice disciplinare di gravità tale da condurre al licenziamento.

Differenza tra i 2 tipi di licenziamento

Quando si tratta di licenziamento per giusta causa, il datore non deve corrispondere alcuna indennità di mancato preavviso, proprio perché il rapporto si interrompe immediatamente; nel secondo caso, invece, il datore è obbligato a dare un periodo di preavviso, tanto è vero che se intende interrompere interrompere immediatamente il rapporto lavorativo, è tenuto a corrispondere al lavoratore una indennità di mancato preavviso, pari alla retribuzione, complessiva di tutte le sue voci, che gli sarebbe spettata se avesse lavorato durante tale periodo.

Il licenziamento per giustificato motivo oggettivo

Il licenziamento per giustificato motivo oggettivo sussiste tutte le volte in cui l’azienda interessata è alle prese con riorganizzazione del lavoro, problemi relativi all’attività produttiva, ovvero, più semplicemente, con una crisi aziendale.

In via riduttiva è lecito affermare che tale tipo di licenziamento si verifica quando l’azienda si accorge di non ricevere più utilità dall’attività lavorativa di un determinato suo dipendente o di più dipendenti.

E’ importante sottolineare a tal riguardo che, se il licenziamento interessa cinque o più lavoratori nell’arco di 120 giorni, il datore di lavoro deve adottare la disciplina speciale prevista per i licenziamenti collettivi. In caso contrario, si applica la generale disciplina sui licenziamenti.

Le ipotesi di giustificato motivo oggettivo possono essere:

– la chiusura dell’attività produttiva;

– la soppressione del posto di lavoro;

– introduzione di nuovi macchinari che necessitano di minori interventi umani;

– affidamento di servizi ad imprese esterne.

E interessante sapere che le ragioni giustificanti tale tipo di licenziamento devono necessariamente sussistere al momento dell’intimazione del licenziamento, altrimenti lo stesso è inefficace.

In ogni caso si presume che tale licenziamento o sia illegittimo se, nei mesi immediatamente successivi al licenziamento, il datore di lavoro provveda ad assumere nuovi lavoratori che vanno a ricoprire le medesime mansioni esercitate dai dipendenti licenziati.

Licenziamento forme

Circa le forme del licenziamento, è necessario distinguere, ancora una volta, tra il licenziamento disciplinare (per giusta causa o giustificato motivo soggettivo) e quello non disciplinare (giustificato motivo oggettivo).

Licenziamento disciplinare

Il datore di lavoro è tenuto ad osservare specifici obblighi:

– la predisposizione di un codice disciplinare che individui le infrazioni e le relative sanzioni.

– la pubblicazione del codice disciplinare, da effettuarsi esclusivamente mediante affissione dello stesso in luogo accessibile a tutti i dipendenti;

– la contestazione per iscritto dell’addebito.

La contestazione deve rispettare alcuni principi:

– Immediatezza: l’addebito va contestato prima possibile, e in ogni caso entro il termine stabilito dal contratto collettivo.

– Specificità: i fatti vanno individuati in modo preciso, per consentire una difesa puntuale.

– Immutabilità: il fatto risultante dalla contestazione non può essere successivamente modificato.

– Contestato l’addebito, il datore deve consentire l’esercizio del diritto di difesa da parte del prestatore, che deve essere sentito qualora ne faccia richiesta. Il licenziamento disciplinare non può essere intimato prima che siano trascorsi cinque giorni dalla contestazione.

Licenziamento non disciplinare

Tale tipo di licenziamento deve essere effettuato necessariamente per iscritto. Nel caso contrario il relativo provvedimento è totalmente inefficace. Esso risulta comunque efficace solo nel momento in cui giunge a conoscenza del lavoratore. Da ciò si evince che la lettera di licenziamento ha, generalmente, la forma della raccomandata consegnata all’interessato o a mano o a mezzo posta presso la sua residenza o il suo domicilio. Si noti che fin quando la comunicazione è solo orale, il lavoratore è comunque qualificato ancora dipendente ed è tenuto a presentarsi sul luogo di lavoro. Spesso la lettera di licenziamento non ne menziona i motivi. Per ovviare a tale lacuna, il lavoratore può richiedere, entro 15 giorni, i motivi del licenziamento, che a loro volta devono essere comunicati dal datore di lavoro nei successivi 7 giorni, pena l’inefficacia del licenziamento stesso.

Licenziamento impugnativa

Quando il licenziamento è stato intimato senza una giusta causa o giustificato motivo, rispetto le varie regole procedurali, o comunque contrario a norme imperative (es. perché discriminatorio, o comminato nei periodi in cui non è possibile recedere per tutela della lavoratrice madre), esso può essere impugnato.

L’impugnazione può essere effettuata direttamente dal lavoratore, dal sindacato cui questi è iscritto o da un avvocato.

Ai fini dell’impugnazione è sufficiente una lettera mediante la quale il lavoratore non fa altro che comunicare al datore la sua intenzione di contestare la legittimità licenziamento. Tale impugnazione deve però essere effettuata – a pena di decadenza – entro il termine di 60 giorni decorrenti dalla data del licenziamento ovvero dalla successiva data di comunicazione dei motivi, qualora richiesti.

Una volta impugnato il licenziamento, il lavoratore può rivolgersi al Tribunale in funzione di giudice del lavoro; tale azione si prescrive in 5 anni.

Mobbing

Il mobbing consiste nella persecuzione psicologica del lavoratore esercitata nell’ambiente di lavoro in maniera ripetuta da chi, nella maggioranza dei casi, detiene il potere decisionale capace di incidere nella sfera giuridica altrui .

È qualificabile come un atto di terrorismo psicologico che si concreta nell’isolare il lavoratore vittima nell’addossare unicamente su questi le responsabilità di tutti gli errori o inadempienze che si verificano nell’ufficio o comunque nel posto di lavoro, oppure creando dei semplici pretesti per rimproverarlo ed umiliarlo in continuazione, fino ad arrivare addirittura e purtroppo spesso al licenziamento o alle costrette dimissioni.

Queste azioni in verità possono essere differenziate in 5 gruppi:

– Comunicazione con la persona da mobbizzare: consiste nel rifiutare il contatto con gesti, sguardi scostanti o allusioni indirette , rimproveri continui nonché critiche relative al lavoro svolto o alla vita personale.

– Relazioni sociali: consiste nel non parlare alla vittima, non rivolgergli la parola, nel proibire ai vari colleghi di parlare con lui; insomma ci si comporta come se la vittima non esistesse.

– Immagine sociale: consiste nel ridicolizzare, parlare alle spalle o spargere voci infondate sulla vittima.

– Qualità della situazione professionale e privata: in tal caso vengono dati alla vittima più compiti da svolgere, lavori inutili o umilianti.

– Salute: è l’azione più grave, che si estrinseca nel costringere la persona interessata a svolgere lavori che nuocciono alla sua salute o addirittura nel minacciare la stessa di violenza fisica.

Il mobbing è, dunque, chiaramente una persecuzione psicologica intrapresa nel luogo di lavoro che spesso ha come suo culmine la menomazione dell’equilibrio psichico del lavoratore, che sovente ricorre per tale motivo a cure neurologiche.

Dal punto di vista tecnico-giuridico, il mobbing può essere inquadrato nella categoria del danno biologico, cioè di un vero e proprio danno alla salute, inteso come la menomazione psicofisica della persona in sé e per sé considerata, in quanto incidente sul valore uomo in tutta la sua dimensione, che non si esaurisce nella sola attitudine a produrre ricchezza, ma si collega alla somma delle funzioni naturali riguardanti il soggetto nel suo ambiente di vita ed aventi rilevanza non solo economica ma anche biologica, sociale, culturale ed estetica.

Ne deriva che il lavoratore che riesce a provare che questo danno, quale potrebbe essere la depressione, è causato dal comportamento vessatorio e discriminatorio del datore, può chiedere al giudice di condannare il medesimo al risarcimento del danno biologico.

Riconoscimento mansioni superiori

L’art. 2013 del codice civile sancisce il diritto del lavoratore ad essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto.

Tuttavia, nel caso di assegnazione a mansioni superiori, il prestatore ha diritto al trattamento economico corrispondente all’attività svolta e l’assegnazione stessa diviene definitiva, ove la medesima non abbia avuto luogo per la sostituzione di lavoratore assente con diritto alla conservazione del posto di lavoro, dopo un periodo fissato dai contratti collettivi e comunque non superiore a 3 mesi.

Ogni disposizione contraria è nulla ed ancora si rappresenta che il diritto del dipendente, assegnato per oltre 3 mesi a compiti superiori, non viene meno per il fatto che il datore di lavoro sia tenuto, in base a norme regolamentari o convenzionali, a bandire un concorso per la copertura dei posti vacanti ovvero che il contratto prevede, per l’acquisizione della qualifica rivendicata, un accertamento professionale.

Molto importante è infine evidenziare che ai fini dell’insorgenza del diritto all’assegnazione definitiva alle mansioni superiori, il periodo di espletamento delle suddette mansioni può anche non essere continuo ma costituito dalla somma di distinti periodi più brevi di 3 mesi, sempre se risultasse evidente l’intento fraudolento del datore di lavoro volto ad impedire la maturazione del diritto alla promozione.

Accertamento competenze retributive

La giurisprudenza ritiene, che ai fini della qualificazione di un contratto di lavoro è irrilevante la definizione data dalle parti contrattuali, ma occorre avere riguardo all’effettivo contenuto ed alle modalità concrete di svolgimento del rapporto di lavoro. Pertanto, quando il lavoratore presta la sua attività nell’organizzazione del datore di lavoro, alle sue dipendenze e sotto la sua direzione, è lecito affermare che sussistono tutti tutti gli aspetti tipici della subordinazione, quale quello tecnico, nel senso che essa trova la la causa nella prestazione lavorativa e deriva da necessità tecnico-organizzativo, funzionale, in quanto è collegata alla prestazione lavorativa, ed infine personale, perché implica necessariamente la prestazione del singolo lavoratore. Ne deriva che una volta accertata la natura subordinata del rapporto di lavoro, ne consegue che il lavoratore ha diritto di conseguire TFR, Tredicesima, maturate e non corrisposte. Per ottenere le competenze retributive sopra menzionate, il dipendente ha la possibilità di adire il Tribunale attraverso ricorso diretto ad accertare e dichiarare che tra le parti sia intercorso un rapporto di lavoro subordinato e condannare il datore di lavoro al pagamento a favore del lavoratore dipendente di una somma pari alle competenze dovute.

Riconoscimento del rapporto di lavoro a tempo indeterminato

Attualmente il lavoro a termine è disciplinato dal D.lgs. 368/01, il quale statuisce che può legittimamente essere instaurato un rapporto di lavoro a tempo determinato tutte le volte che ricorrono ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo. Poiché ai sensi dell’art. 1 del D.lgs. 368/01 l’indicazione scritta del termine e delle ragioni che lo legittimano è un elemento richiesto ad substantiam, l’inosservanza di tali prescrizioni comporta la nullità della clausola relativa al termine con la conseguenza che il contratto si considera a tempo indeterminato.

Ipotesi particolari

– Quando l’assunzione a termine è giustificata da esigenze dovute all’incremento dell’attività produttiva ( ad es. acquisizione di commesse per lancio di nuovi prodotti o servizi ), è necessario che l’impresa nel contratto stipulato con il lavoratore indichi in maniera precisa il termine fino al quale la stessa impresa si troverà ad affrontare le condizioni eccezionali previste e fino al quale, dunque, le sarà consentito procedere ad assunzioni a tempo determinato. In difetto di tale indicazione, si deve considerare l’assunzione del lavoratore come a tempo indeterminato dall’origine.

– Il termine del contratto a tempo determinato può essere prorogato per una sola volta solo quando la durata iniziale del contratto non è superiore a 3 anni con il consenso del lavoratore, se lo richiedono ragioni obiettive e quando si riferisce alla stessa attività lavorativa per la quale il contratto è stipulato. Ove il rapporto di lavoro continui dopo la scadenza del termine inizialmente fissato o successivamente prorogato, il datore di lavoro dovrà corrispondere al lavoratore per ogni giorno una maggiorazione. Se il rapporto prosegue per più di 20 o 30 giorni (rispettivamente nel caso di contratti di durata inferiore o superiore a 6 mesi) il contratto si considera a tempo indeterminato dalla scadenza del termine iniziale.

– Quando, esaurito un contratto a termine, le parti ne stipulano un secondo, nuovo e distinto dal primo, entro un periodo di 10 o 20 giorni dalla data di scadenza del primo (rispettivamente nel caso di contratti di durata inferiore o superiore a 6 mesi), il secondo contratto si considera a tempo indeterminato; nel caso di assunzioni successive, intendendosi come tali quelle effettuate senza soluzione di continuità, il rapporto si converte a tempo indeterminato dalla data di stipulazione del primo contratto.